Disturbi del comportamento alimentare
Responsabile: Dott.ssa Federica Boeris Clemen
Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo e Cognitivo-Comportamentale
L’equipe, composta da psicoterapeuti, psichiatri e dalla nutrizionista, si occupa della diagnosi e del trattamento di tutti i disturbi psicologici dell’area alimentare.
Cosa sono i disturbi del comportamento alimentare
I DCA (disturbi del comportamento alimentare) consistono in disfunzioni del comportamento alimentare e/o in comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo significativo la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta. Nella classificazione dei disturbi alimentari rientrano: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi da alimentazione incontrollata.
Descrizione del Disturbo di Anoressia
L’anoressia nervosa è caratterizzata dal rifiuto di mangiare e di mantenere il peso corporeo nella norma, arrivando al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto per età, sesso e statura. Si ha un’intensa paura di diventare grassi anche se si è in realtà sottopeso, spesso negando la propria magrezza e lamentandosi di essere troppo grassi.
La forma e il peso del corpo assumono un’influenza eccessiva sul proprio livello di autostima, condizionando tutta l’esistenza e il comportamento della persona. Nelle ragazze e nelle donne per parlare di anoressia ci deve essere l’assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi, dovuta fisiologicamente al sottopeso. Negli ultimi anni i disturbi del comportamento alimentare sono nettamente aumentati in particolare nel mondo occidentale, dove l’ideale di magrezza e di linea perfetta è sempre più diffuso (in zone del mondo dove c’è malnutrizione essere grasi è considerata una prova di salute e benessere sociali). Colpisce ogni strato sociale, con una forte prevalenza nel sesso femminile (circa 90%). Insorge generalmente nell’adolescenza, raramente in donne oltre i 40 anni. (in quest’ultimo caso, spesso è presente un evento della vita stressante, in collegamento con l’esordio del disturbo. Si possono distinguere due forme di questo disturbo: l’anoressia restrittiva, in cui la perdita di peso è ottenuta attraverso una dieta ferrea, il digiuno e/o l’eccessiva attività fisica e quella con bulimia, quando alle condotte di restrizione del’assunzione del cibo, si aggiungono episodi di abbuffate (caratterizzate da un’abnorme ingestione di cibo in un tempo ridotto e dalla sensazione di perdere il controllo durante l’episodio) alternate a condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi o diuretici). Uno dei vissuti più angoscianti delle persone anoressiche, è legato ad una errata percezione del proprio corpo, vissuto come sgradevole e perennemente inadeguato. Alcuni si sentono grassi in riferimento a tutto il loro corpo, altri pur ammettendo la propria magrezza concentrano le loro critiche ad alcune parti del corpo (di frequente la pancia, i glutei, le cosce). Il disturbo dell’immagine corporea non è imputabile ad un disturbo della percezione, in quanto tendono a sovrastimare anche il peso e la forma di altre persone, ma mai quanto i propri. Questa distorsione tende inoltre a diminuire man mano che le persone riacquistano peso.
Il livello di autostima e di valutazione di sè è influenzato dalla capacità di controllare il proprio peso e i fallimenti sono seguiti da autocritica e svalutazione. Essendo gli standard attesi molto elevati e il metro di giudizio tendente al perfezionismo, diventa molto facile che gli obiettivi non vengano raggiunti e si presentino tali condizioni negative. In un primo momento lo stress e le fatiche della restrizione vengono sostituiti da un maggior senso di energia e da un generale stato di benessere.
Quando però questa fase termina, il pensiero del cibo e del mangiare ritorna, insieme alla paura di perdere il controllo e alla paura che se si mangia normalmente si sarà incapaci di smettere e si ingrasserà. Con l’aumento della perdita di peso la concentrazione, la memoria e la capacità di giudizio critico diminuiscono, mentre si accentuano sempre più le emozioni negative, l’iperattività, l’irritabilità, l’asocialità e i disturbi del sonno. Nei casi in cui vi è una evoluzione cronica, o comunque una perdita di peso superiore al 25%, e/o complicazioni mediche è necessario il ricovero ospedaliero.
Descrizione del Disturbo di Bulimia
Laura, una bella ragazza di 21 anni, dice: “Da due anni quando mi guardo allo specchio o quando faccio caso al mio corpo, mi sento sgradevole; è difficile da spiegare, ma è come se mi facessi schifo, disgusto. Guardo le mie cosce o la mia pancia e mi sembra di vedere tanta ciccia o cellulite. Solo quando riesco a mangiare poco, mi sembra di essere a posto e non volgare, e quindi spesso mi metto a fare lunghi digiuni o diete ferree. Il problema è che poi o perché sono soddisfatta di me e mi voglio premiare o perché mi sento depressa e non ne posso più della dieta, mi concedo di interrompere la dieta. A quel punto in un attimo mi risento uno schifo e mi ritrovo ad abbuffarmi di schifezze e ricomincio con abbuffate e vomito. Più mangio e più mi viene voglia di provocarmi il vomito; però poi più vomito e più mi sento uno schifo e ho voglia di mangiare. Mi sembra di non riuscire a pensare ad altro che al cibo: o perché non mangio, o perché mangio, o perché devo eliminare quello che ho mangiato”.
Quello descritto da Laura è un esempio dell’esperienza delle pazienti bulimiche e del circolo vizioso che si viene a creare tra abbuffate e condotte tese a controllare il peso.
Come si riconosce il disturbo? Si fa diagnosi di Bulimia quando sono presenti i seguenti comportamenti: abbuffate ricorrenti, ovvero consumo di grandi quantità di cibo indipendentemente dalla percezione di fame e con la sensazione di perdita di controllo (ad esempio: mangiare un pacco intero di merendine subito dopo un pranzo completo); condotte di compenso, finalizzate a neutralizzare gli effetti delle abbuffate, come il vomito autoindotto (che è il comportamento di compenso più frequentemente utilizzato), l’assunzione impropria di lassativi e diuretici, o la pratica eccessiva di esercizio fisico. È, inoltre, presente una continua ed estrema preoccupazione per il peso e le forme corporee. Le abbuffate sono vissute in genere con estrema vergogna e disagio; spesso sono associate a momenti di solitudine, di stress, di sensazione psicologica di vuoto o di noia, ed il cibo viene rapidamente ingerito in maniera scomposta, incoerente ed eccessiva.
Quando siamo davanti a un caso di bulimia le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano almeno 2 volte a settimana per un periodo minimo di tre mesi.
Come illuminato dall’esempio di Laura la caratteristica principale della bulimia nervosa è un circolo vizioso che tende ad autoperpetrarsi tra preoccupazione per il peso, dieta ferrea, abbuffate e condotte di compenso. Paradossalmente la dieta ferrea aumenta la probabilità e la frequenza delle abbuffate; queste aumentano la probabilità del vomito o di altre condotte eliminatorie e così via. Tra l’altro l’esposizione ad una continua restrizione calorica ed alla perdita di peso può provocare sintomi quali depressione, ansia, ossessività, irritabilità, labilità dell’umore, sensazione di inadeguatezza, affaticamento, preoccupazione per il cibo, scarsa concentrazione, isolamento sociale e forte spinta ad abbuffarsi.
I soggetti bulimici generalmente hanno un peso normale, cosa che rende il disturbo più difficile da identificare (rispetto per esempio all’anoressia, facilmente individuabile per la significativa perdita di peso).
È un disturbo che usualmente insorge alla fine dell’adolescenza o all’inizio della giovinezza ed è molto più frequente nel sesso femminile (9 a 1 nel rapporto con il sesso maschile). L’esordio si ha generalmente in un età compresa tra i quindici e i venticinque anni, con un picco nella fascia d’età che va dai 17 ai 19. Sono comunque descritte anche forme precoci, in età infantile, e tardive.
Nei paesi occidentali la prevalenza è di circa un caso ogni cento giovani donne, anche se forse i dati di prevalenza e incidenza tendono a sottostimare la dimensione effettiva del fenomeno, dal momento che questa patologia tende a essere tenuta nascosta per vergogna e che le persone affette possono mascherare il disturbo per anni.
Le complicanze mediche, spesso sottovalutate, sono conseguenti sia delle abbuffate sia delle condotte di compenso. Il vomito ripetuto e l’abuso di lassativi o diuretici inducono scompensi dell’equilibrio elettrolitico, soprattutto riducono i livelli ematici di potassio, con serie ripercussioni a livello cardiaco, renale, cerebrale. Gastriti, esofagiti, emorroidi, prolasso rettale sono tra le altre patologie secondarie al vomito frequente e all’abuso di lassativi. Il vomito ripetuto, inoltre, può condurre ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente dei denti incisivi; questi diventano scheggiati, intaccati, e “tarlati”; aumenta inoltre la frequenza delle carie.
Quelle elencate sono solo alcune delle conseguenze della bulimia. Se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco. Secondo l’American Psychiatric Association (APA), sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
Trattamento psicoterapeutico del Disturbo di Anoressia
La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l’abbandono delle condotte di restrizione del’assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell’apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali e, nel caso di adolescenti, aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare.
Trattamento psicoterapeutico del Disturbo di Bulimia
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia nervosa. Obiettivo principale del trattamento è, innanzitutto, quello di normalizzare il comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l’unico o il principale fattore in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consistete in interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito, attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i sintomi.
L’obiettivo è riabituare il paziente a un’alimentazione corretta, regolarizzando la frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte eliminatorie. In una seconda fase il trattamento mira a rendere stabile il nuovo comportamento alimentare e, soprattutto, a ridurre l’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali; tra queste in particolare si usano la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento psicoterapico è frequentemente associato a una terapia farmacologica. I farmaci elettivi nel trattamento di tale disturbo sono gli antidepressivi appartenenti alla categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI).
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un miglioramento dell’umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia, sono frequenti le ricadute.
Nella gran parte dei casi la terapia della bulimia è ambulatoriale. Nei casi più gravi e resistenti si può optare per trattamenti di tipo residenziale (ospedale, day hospital, comunità terapeutica).
Per maggiori informazioni visita il sito http://disturbialimentari