CORPI CHE PARLANO: AUTOLESIONISMO E DISREGOLAZIONE EMOTIVA

CORPI CHE PARLANO: AUTOLESIONISMO E DISREGOLAZIONE EMOTIVA

Con il termine autolesionismo si fa riferimento a tutti quei comportamenti deliberatamente orientati al provocarsi dolore fisico.

Questi comportamenti non hanno a che fare necessariamente con tentativi di suicidio o desiderio di togliersi la vita, e per questo vengono spesso definiti come pratiche di autolesionismo non suicidario o NSSI (Non-Suicidal Self-Injury). 

I metodi più diffusi riguardano il cutting, ovvero il tagliarsi con lamette o oggetti appuntiti, l’infliggersi bruciature con sigarette o oggetti roventi, il graffiarsi o il colpirsi volontariamente alcune parti del corpo.

L’autolesionismo è un fenomeno diffuso soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, con un’incidenza che prima della pandemia da Sars-Covid-19 era stimata tra il 15-20% (Ross et al., 2002), ma che ad oggi sta crescendo a preoccupanti velocità. L’età di esordio si aggira tra i 13 ed i 14 anni (Ross et al., 2002), con non sporadici casi di condotte autolesive a partire dai 10 anni d’età. Sia in adolescenza sia in età adulta l’incidenza dell’autolesionismo è più elevata tra la popolazione psichiatrica, in particolare in soggetti affetti da disturbi dell’umore, disturbi del comportamento alimentare, disturbo borderline della personalità e utilizzo di sostanze; non sono da escludere però fenomeni di autolesionismo isolati o sporadici tra la popolazione generale.

 

PERCHÈ L’AUTOLESIONISMO IN ADOLESCENZA?

L’adolescenza è una fase molto vulnerabile per lo sviluppo dell’autolesionismo, in primo luogo poiché sono presenti elevati livelli di impulsività e reattività emotiva a causa anche dei processi di sviluppo cerebrale. La corteccia cerebrale, infatti, responsabile delle funzioni esecutive tra cui le capacità riflessive, di pianificazione e di decision making, in adolescenza è ancora in fase di sviluppo e quindi meno coinvolta nella pianificazione e nella scelta dei comportamenti da attuare, che saranno di conseguenza più impulsivi e guidati dalle emozioni del momento. 

Questo fenomeno così complesso, però, non può essere ridotto a motivi di mero sviluppo biologico o ad una vulnerabilità genetica, che rappresentano solo dei fattori di rischio ma non certamente la spiegazione principale del perchè l’autolesionismo nasca e del perchè proprio in adolescenza. 

L’autolesionismo è strettamente e profondamente correlato al mondo emotivo e relazionale dell’adolescente, che attraversa una delle fasi più delicate della vita in cerca di una propria identità che gli permetta di riconoscersi, identificarsi e differenziarsi come individuo.

L’adolescente spesso deve fare i conti con un mondo emotivo difficile da gestire, caratterizzato da emozioni intense e nuove, talvolta spiacevoli, che giocano un importante ruolo comunicativo nella relazione con i pari e che sempre più spesso lo fa sentire confuso ed inadeguato. 

 

LE CAUSE DELL’AUTOLESIONISMO

L’autolesionismo, come spiegato, ha fortemente a che fare con la regolazione emotiva.

In quest’ottica, il primo dei motivi che può spingere un individuo ad infliggersi dolore è la necessità di trasformare il dolore da mentale a fisico, per localizzarlo e renderlo più tollerabile. La sofferenza fisica pare quindi essere un mezzo per lenire una sofferenza psicologica profonda e pervasiva che per l’individuo è intollerabile. Se per il dolore fisico esiste la medicazione, per quello emotivo spesso non si hanno strumenti adatti ed efficaci.

L’autolesionismo, in questo senso, può essere utilizzato come strategia regolatoria per abbassare il livello di un’emozione che, come intensità, si colloca fuori dalla propria finestra di tolleranza, ovvero quel “gap” personale entro il quale non si viene sopraffatti dalle emozioni che proviamo. La finestra di tolleranza non è uguale per tutti noi nè tantomeno è fissa, bensì esistono dei fattori di vulnerabilità che la restringono e dei fattori protettivi che ci permettono di ampliarla nel tempo. Quando le emozioni superano il livello personale di intensità tollerata, la sensazione è quella di perdita di controllo e di “panico emotivo”, che talvolta porta all’utilizzo di autolesionismo come modalità per rendere tollerabile qualcosa che non viene percepito tale, come sopra spiegato.

Contrariamente alla situazione di discontrollo legato ad emozioni eccessivamente intense, spesso l’autolesionismo viene usato anche per contrastare il senso di vuoto che oggi più che mai viene sperimentato da questa giovane popolazione. Il vuoto a cui l’adolescente fa riferimento è il vuoto identitario, che lo rende inesistente ed insensibile al mondo. Infliggendosi dolore, quindi, l’individuo sente una sensazione fisica, sente il suo corpo e questo fornisce lui la dimostrazione di esserci ed esistere.

Più raramente, l’autolesionismo rappresenta anche una modalità per auto-punirsi, soprattutto quando c’è un deficit importante a livello di autostima o quando vi sono storie di abusi o traumi per i quali l’individuo, erroneamente e pericolosamente, si sente responsabile e per questo non degno di amore e protezione.

In tutti questi casi, inevitabilmente, lesioni, cicatrici e cheloidi hanno una funzione comunicativa: ci parlano di una profonda sofferenza che spesso non è spiegabile a parole poichè in primis inaccessibile per l’adolescente stesso. Queste manifestazioni sono non di sovente una richiesta di aiuto che non trova altri canali se non quello del corpo.

 

IL FENOMENO A LIVELLO BIOCHIMICO

L’autolesionismo provoca rilascio di endorfine, neurotrasmettitori prodotti a livello cerebrale e dotati di una potente proprietà analgesica ed eccitante. Il risultato è che inizialmente il taglio, piuttosto che la bruciatura, generano una sensazione piacevole e di sollievo, anestetica rispetto al dolore psicologico. All’importante rilascio di endorfine nel circolo sanguigno, però, segue un secondo momento in cui i livelli plasmatici di questo neurotrasmettitore sono estremamente bassi, motivo per il quale emergono malessere e insoddisfazione, legati ad emozioni negative come vergogna e colpa per l’agito. Le condotte autolesive spesso sfociano quindi in un pericoloso circolo vizioso: il sollievo che arriva dopo il taglio è più intenso del dolore provato tagliandosi, quindi si crea un rinforzo positivo che porterà a rimettere in atto il comportamento alla ricerca della sensazione analgesica e piacevole che ha fornito un momento di sollievo da un’intensa ed intollerabile sofferenza psicologica ed emotiva. 

L’autolesionismo, inoltre, agisce negativamente sulla soglia personale di dolore: più mi faccio del male, meno dolore provo durante l’atto e meno endorfine verranno rilasciate, quindi il dolore che mi infliggo dovrà essere sempre maggiore per ottenere lo stesso livello di sollievo. Ciò che accade in tal senso si configura come un pattern di dipendenza, in questo caso dalla condotta autolesiva.

 

COME INTERVENIRE?

L’autolesionismo è un fenomeno che sta generando molta preoccupazione per l’attuale tasso di incidenza nella popolazione adolescente di tutto il mondo. 

Chiarito che il fenomeno ha una matrice emotiva e relazionale, ma si manifesta principalmente tramite il corpo, è dunque fondamentale intervenire con un approccio integrato e multi-disciplinare che prenda in considerazione gli aspetti emotivi e quelli corporei. È necessario in primis lavorare sulla costruzione di un vocabolario emotivo per favorire il riconoscimento e la comunicazione dei propri stati d’animo. Riconoscere le emozioni, costruire un significato personale e condiviso delle stesse, sapere come si manifestano in noi ci aiuta ad agire per tempo con strategie alternative all’autolesionismo prima che qualsiasi emozione spiacevole diventi intollerabile. È ugualmente necessario ricercare e pianificare attività di vita desiderabili che tamponino l’influenza delle emozioni negative e delle condotte disregolate da esse innescate, che servano come fattori protettivi ed accrescitori di autostima. Questo rappresenta inoltre un modo per allargare la finestra di tolleranza emotiva di adolescenti che sono nati e cresciuti in un mondo in cui frustrazione, paura e tristezza sono state presentate come un nemico da rifuggire piuttosto che un alleato nello sviluppo di identità ed autostima.

Nelle famiglie, nelle scuole e nei contesti di vita di questi adolescenti serve dialogo, osservazione e ascolto non giudicante: l’autolesionismo non è una moda nè un tentativo di attirare l’attenzione; tuttalpiù, come afferma David Le Breton, è “opposizione alla sofferenza: è un compromesso, un tentativo di riportare in vita un senso che si è perduto”.

 

Dott.ssa Anna Scolari

Psicologa Clinica, psicoterapeuta in formazione

 

BIBLIOGRAFIA:

Le Breton D. La pelle e la traccia. Le ferite del sé. Tr. it. Roma: Meltemi, 2005.

Ross S, Heath N. A study of the frequency of self-mutilation in a community sample of adolescents. J Youth Adolesc. 2002;31:67–77. doi: 10.1023/A:1014089117419.

Rate this post

Submit a Comment